La casa in cui vivo è stata abitata fino alla morte da una delle donne più famose del paese. Questa donna che per tutti era la "Pecorara" era rinomata e amata per la sua generosità e per la sua forza. Al suo funerale - dicono - andò il paese intero. Fu la prima donna e, per molto tempo l'unica, ad avere la patente e la macchina. All'epoca, le donne lavoravano i campi e si svegliavano alle quattro di notte per arrivarci, camminando per quasi tre ore al buio. Non appena lei ebbe la macchina, decise che le avrebbe portate a turno, facendo avanti e dietro all'andata e al ritorno. Fece così per anni. Portava chiunque avesse bisogno di essere trasportato d'urgenza: malati, donne incinte, feriti. Aveva un carattere forte e un po' burbero, ma un cuore grandissimo. Chiunque avesse bisogno, andava a bussare da lei, perché lei aveva sempre la soluzione a tutto.
Sua figlia, che è la mia vicinissima di casa (ci separa un muro così sottile che quando gli operai hanno tentato di mettere una presa elettrica da me, le sono entrati in cucina...) è una donna dal cuore altrettanto grande. Non si sa quante volte mi ha offerto il suo aiuto per Natalina, quando non riuscivo a farle le iniezioni. Suo marito, un uomo dagli occhi luminosi e allegri come raramente ho visto, è morto il 1 gennaio di quest'anno dopo essere stato colpito dalla SLA. In un anno, la malattia lo ha ridotto a un essere di 40 chili. Da mesi, non riusciva più a parlare o a muoversi o a mangiare... Lei lo ha tenuto a casa fino all'ultimo, prendendosi ogni giorno cura di lui da sola (hanno due figli meravigliosi, ma lei non ha voluto nessuno con sé): ha preso la 104 e, in questi mesi, i suoi datori di lavoro le hanno regalato ferie, chiuso occhi e fatto strappi alle regole. Tra qualche mese, lei e suo marito avrebbero festeggiato cinquant'anni di matrimonio. Lui - mi ha raccontato lei - gli diceva che era stanco di vivere e che voleva morire tra le sue braccia. Lei gli diceva: "Dai, che manca poco e facciamo una grande festa!". Il giorno in cui lui se ne è andato, aveva appena finito di pulirlo e di sistemarlo (lui aveva il sondino e non mangiava più) e lei gli aveva detto: "Vado un attimo di là a mangiare una cosa e torno. Cinque minuti". Arrivata in cucina aveva sentito una specie di rantolo e aveva capito che lui la stava chiamando. Era tornata indietro e vedendolo che si agitava quasi a soffocare, lo aveva preso tra le braccia per rassicurarlo. Lui aveva avuto un singulto e poi aveva smesso di respirare. "Era l'unica cosa che desiderava" mi ha detto. "Vojo mori' tra le braccia tue. C'è riuscito". Questa donna - che io incontro ogni giorno - non ha mai perso il sorriso anche se i suoi occhi sono ormai infinitamente tristi e quando ha i figli e i nipoti a casa (ogni domenica) è sempre allegra. "Piango di nascosto" mi dice. "Quando nessuno mi vede". Non so quanto sia dimagrita in questi mesi. Dopo la morte di lui è tornata a lavorare (lavora con i bambini) e ogni giorno dà da mangiare alla sua (ormai piccola) colonia di gatti. Perché racconto questo? chiederete. Perché questa è la vita. E' di una bellezza struggente e di una crudeltà impietosa. Molti di noi se ne stanno accorgendo solo adesso. Ma molti di noi lo sapevano già.
Bellissimo racconto di vita quotidiana.....hai rappresentato tante realtà, tante donne che tengono duro e si sfogano in solitudine.......grazie, da silvana