Due mesi di isolamento, tappati in casa. Due mesi in cui abbiamo fatto di tutto per dimenticarci quello che stava succedendo fuori.
Non potevamo evadere fisicamente ma abbiamo cercato e trovato tutte le “evasioni” possibili: videochiamate chilometriche, whatsapp e messaggi anche a chi non sentivamo da anni; lezioni online su qualunque cosa ci abbia interessato vagamente nella vita (basta che ci facevano ammazzare il tempo); duemila serie Netflix sparate a raffica senza interruzioni; social a go-go con cellulare a sinistra e pc sempre acceso a destra; preparazioni di piatti elaborati che neanche Cannavacciuolo; pulizie come se venissero i Nas; letture (poche) e poco impegnative; canzoni sul balcone o video in pigiama da casa; tv h24 a blablablare.
Abbiamo fatto di tutto (riuscendoci) per distrarci e fuggire.
Ed è esattamente per questo che adesso ci troviamo così impreparati e non riusciamo a trovare pace: le cose fuori sono cambiate, ma noi siamo gli stessi di prima. Con le stesse ansie e aspettative e pretese di una volta, divenute però impossibili.
Una pubblicità di questi giorni, a proposito di ciò che stiamo vivendo, recita: “Non chiamiamolo cambiamento. Chiamiamolo trasformazione.”
No, direi io. Invece continuiamo a chiamarlo “cambiamento” perché la “trasformazione” è una cosa seria. È una cosa di dentro. Il cambiamento ti può essere imposto da fuori (e di cambiamenti ce ne stanno imponendo tanti!), ma la trasformazione, no: è un fatto interiore.
Serve tempo. E silenzio. E auto-ascolto. E pace. E molto amore per sé. Perché la trasformazione presuppone una metamorfosi interiore che è il frutto di un pensiero profondo e di un bilancio e di una scelta consapevole che dia una direzione nuova alla propria vita quando indietro non si può tornare.
Ma quasi nessuno di noi ha cercato la pace o il silenzio, in questi giorni. E tantomeno offerto un ascolto profondo a se stesso.
Abbiamo per lo più continuato a cercare la fuga, l’evasione, la distrazione, la rimozione da noi stessi e da tutto ciò che non ci piaceva. Come abbiamo sempre fatto. Solo che, non potendo fare le stesse cose, abbiamo trovato modi diversi.
Così il mondo è cambiato e noi no. Perché eravamo troppo distratti e ansiosi di tornare “come prima” per prepararci.
Ma ci vuole pace e ascolto di sé per adeguarsi ai cambiamenti. E la pace non è distrazione. È l’opposto della distrazione. La pace è un luogo da creare dentro e in cui si arriva per “restare in ascolto” e non un luogo che offra una “fuga da”.
Avere pace non significa dimenticarsi di quello che (ci) accade. Al contrario: significa stare con tutto quello che c’è e abbracciare consapevolmente ciò che accade dentro e fuori (di bene e di male) e, contemporaneamente, fluire abbandonandosi in totale accettazione di quel che è (anche se non ci piace), senza resistere o combattere o rinnegare, aspettando il momento in cui il nostro essere sia pronto a ripartire in modo nuovo.
La pace è un luogo da cercare perché nessuno ce lo regala. È un impegno quotidiano. È fare silenzio fuori per ascoltare la voce di dentro. È trovare il coraggio di stare con noi stessi. È accoglienza e accettazione di tutto. E niente è più difficile che accogliere anche ciò che non ci piace. Inclusa la nostra propria compagnia.
Eppure è soltanto da questo luogo di pace e di inclusione assoluta che possiamo scegliere e decidere in che direzione trasformare noi stessi per affrontare una realtà in mutamento che, una volta fuori, ci chiederà di cambiare le nostre abitudini e le nostre pretese.
Ma non si possono affrontare i cambiamenti senza cambiare dentro. Questa è la verità.
Ora io non so se voi abbiate cercato la pace o la distrazione in questa quarantena.
Solo una cosa mi viene da dire: a cercare la pace – ad imparare a stare e fluire invece che fuggire ed evadere – facciamo sempre in tempo.
E allora sì che sarà vera trasformazione e i cambiamenti (inevitabili) di fuori non ci coglieranno impreparati perché allora, insieme alla realtà che è cambiata, saremo cambiati anche noi.
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