Non so perché abbiano scelto la mia casa. Il mio balconcino affacciato sulla valle.
Ma qui, tra un bauletto bianco e l’angolo più interno, hanno deciso di fare il loro nido due piccioncini.
Ho cercato di dissuaderli per due volte.
Sarà la follia da lock-down ma gli parlo e così un giorno gli ho detto: “Non potete farlo qui, io esco spesso e voi vi spaventate e non potreste covare le uova. Avete scelto il posto sbagliato. Non si può fare”.
Quel giorno, mentre le parlavo, lei – la colomba femmina (la riconosco perché è un po’ più minuta e aggraziata del maschio) – per tutta risposta ha fatto qualche passo oltre la ringhiera, ha preso tra il becco il ramoscello che stava per mettere nel nido e mi ha guardata. Lui (il piccione maschio) gli era accanto. Immobile, ad aspettare.
È stato in quell’attimo che ho ceduto.
Ho ceduto come si cede di fronte a un bimbo che allunga la manina con le sue due ultime caramelle rimaste e ha quella fiducia assoluta che tu ne prenderai una sola e che non gli farai del male e poi aspetta che tu la scarti e l’assaggi mentre lui mette in bocca la sua, con il viso raggiante di chi sa naturalmente che, in quell’istante condiviso, la sua felicità diventerà anche la tua e sarà lui ad avertela regalata.
Non so se riuscite ad immaginare la scena: una colomba che prende un ramoscello tra il becco - il nido fatto per metà alle sue spalle - che ti guarda e non indietreggia…
In quel nostro guardarci d’istanti, ho visto pezzetti della mia vita passarmi davanti (spalle che si voltano, passi che si allontanano) e tra quegli spazi lasciati vuoti, ora c’era quel ramoscello a risarcire gli addii, a dire: “Io ho scelto te. Questa è casa per me. Tu sei casa per me. E non me ne vado se non mi scacci. Per favore, lasciami restare. Lasciami costruire la mia casa qui...”
Da quel giorno, viviamo insieme. Io e loro due. Stiamo insieme tutti i giorni, a volte per ore. Con loro che sonnecchiano vicini o si coccolano al di là della ringhiera e stanno con me mentre leggo, studio o mangio.
La mattina successiva a quella dichiarazione di amore, ho messo una piccola rete tra il loro nido e la porzione restante del mio balconcino perché gli ho spiegato: “Io vi lascio stare qui, ma voi state in quell’angolo e non venite qui a sporcare. Intesi?”
Hanno inteso.
Non so come, ma hanno capito.
Non sono venuti mai.
La porzione del mio balconcino è intonsa e pulita.
Qualche volta, durante il giorno, un piccione tenta di aggredirli (non so perché).
Io - che sento uno sbatter d’ali agitato – esco fuori e batto le mani per cacciare via l’invasore: questi scappa, ma loro due no, restano lì, con gli occhietti un po’ impauriti, a ricomporsi le piume dopo lo spavento.
Stamattina (che mi sono svegliata all’alba) li ho spiati dalla finestra chiusa e ho scoperto che dormono insieme nel nido. Li ho colti nell’attimo in cui si stavano svegliando insieme e, dopo essersi salutati con coccole di piume e becchettare delicato, “uscivano” oltre la ringhiera.
A un tratto, mi sono ricordata che lo scorso anno sono nati sul mio balconcino due piccioncini che sono rimasti fino a che non hanno imparato a volare.
Mi chiedo se, della mia attuale coppia di fedeli amici, non ci sia uno di loro.
Mi chiedo se non sia semplicemente tornato “a casa”.
Forse lo immagino e basta, ma mi fa piacere illudermi che non si sia dimenticato di me e che, quando mi guarda, sa senza ombra di dubbio che io gli vorrò bene perché un tempo – forse un tempo non troppo lontano – gli ho offerto la mia casa che è stata anche la sua.
E “casa” – come ha detto qualcuno – “è quel luogo in cui il tuo cuore è felice”.
E allora mi piace pensare che sia già stato felice, qui.
Ed è per questo che ritorna.
Per nostalgia di casa e per una (mai dimenticata) felicità.
(I piccioni sono rigorosamente monogami, e fedeli per tutta la vita. Il piccione maschio impiega parecchio tempo per scegliere la compagna. E la corteggia a lungo. Finalmente i due si “fidanzano”. Di accoppiamento infatti non si parla finché la coppia non si reputa stabile: deve passare almeno una settimana. A quel punto è la femmina a prendere l’iniziativa: becchetta il maschio vicino al becco. Lui le offre del cibo e glielo infila direttamente in bocca, come si fa con i pulcini. Significa che è capace di prendersi cura anche dei figli. Dopo una ventina di giorni nascono i piccoli. Mamma e papà si alternano alla cova e producono, entrambi, il latte di piccione, una secrezione biancastra che serve per nutrire i pulcini).
- da Focus.it
“Dove sei tu, quella, è casa” (Emily Dickinson)